Il 15 agosto 2010 Brazzaville ha festeggiato, tra i fasti voluti dal governo e l’assenza dell’opposizione radicale, i primi cinquant’anni di indipendenza. Il bilancio del periodo post-coloniale appare però tutt’altro che gratificante. Troppo a lungo teatro di guerre civili e di violenti scontri tra fazioni, il Congo ha, infatti, solo recentemente avviato una lenta transizione verso un sistema liberale, sancito de jure e che, tuttavia, ancora fatica a compiersi. Le elezioni legislative del 2012 rappresentano una prova importante per il consolidamento delle istituzioni democratiche, ma lo scenario politico presenta il reale rischio che, ancora una volta, la volontà popolare venga falsata dall’élite al potere.
L’Attuale Sistema Politico
La costituzione in vigore nella Repubblica del Congo è stata redatta nel 2001 da un governo di transizione nazionale ed approvata tramite referendum popolare nel gennaio del 2002. Frutto di un intenso dialogo tra le varie forze politiche condotto sulle ceneri di una guerra civile che insanguinò il paese nel 1997, la Carta costituzionale ha instaurato un sistema democratico pluralista multipartitico e ha istituito un governo repubblicano a tutela della separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario.
Il potere esecutivo è affidato al Capo di Stato, al Primo Ministro e al Consiglio dei Ministri. Il Presidente è eletto a suffragio universale diretto, con la maggioranza assoluta, per un massimo di due mandati settennali. Le prossime votazioni si terranno nel 2016. La carica di Primo Ministro è stata abolita nel settembre del 2009 dal riconfermato Presidente Denis Sassou Nguesso, che ora ricopre entrambi i ruoli: il Congo è, dunque, oggi una Repubblica presidenziale. Il Consiglio dei Ministri è, infine, nominato dal Capo di Stato. Il potere legislativo spetta ad un Parlamento bicamerale. Il Senato (la Camera alta) è composto da 72 membri eletti per sei anni attraverso un sistema di voto indiretto e ogni tre anni viene rinnovata la metà dei seggi. All’Assemblea Nazionale siedono, invece, 137 rappresentanti eletti a suffragio universale diretto per cinque anni e le consultazioni legislative per il rinnovamento della camera bassa si terranno nel 2012. Le opposizioni denunciano come le diverse forze partitiche siano scarsamente rappresentate in seno al Parlamento e ne condannano la trasformazione in una “cassa di risonanza” del potere esecutivo. Esso pare, insomma, abbia abdicato a quel ruolo di controllo dell’azione di governo che la Costituzione gli conferisce per diventare un “servile canale di trasmissione” delle decisioni dell’esecutivo. Il potere giudiziario è in capo alla Corte Suprema, al Consiglio Superiore della Magistratura, all’Alta Corte di Giustizia e alla Corte dei Conti.
Le Forze di Governo
La struttura di base del regime del Presidente e Primo Ministro Denis Sassou Nguesso verte sulla forza militare e su un’élite intellettuale collusa con il potere. Sulla scena politica congolese dal 1979, Sassou Nguesso mantiene saldamente le redini del paese da quando, nel 1997, con un colpo di stato depose, grazie anche all’intervento delle truppe angolane, l’allora presidente Pascal Lissouba e il primo ministro Bernard Kolélas. Impostosi, dunque, alla guida della Repubblica del Congo tramite l’uso della forza, Sassou ha creato uno stato di polizia con l’obiettivo di preservare la stabilità interna affinché la sua leadership non venga messa in discussione da sollevazioni popolari. Molti degli ufficiali attualmente a capo dei corpi armati del paese sono uomini a lui devoti e si coordinano con i servizi di informazione su cui lo stesso Sassou esercita un controllo capillare. Il Presidente possiede, inoltre, una milizia privata e, dal 2004, acquista – spesso all’insaputa dell’alto commando delle forze armate – armamenti dalla Cina e dalla Corea del Nord (in violazione dell’embargo ONU imposto a Pyongyang) in cambio di petrolio[1]. Interessato al mantenimento della propria immagine internazionale, Sassou si serve anche di una classe intellettuale corrotta per forgiare, attraverso abili campagne propagandistiche e di intossicazione dell’opinione pubblica, una parvenza di legittimità al regime autocratico che ha de facto costruito. Accusato dall’opposizione di aver dato vita ad uno Stato al proprio servizio su “modello stalinista” e di alienare progressivamente l’intero patrimonio nazionale a vantaggio della propria cerchia familiare ed amicale, Denis Sassou Nguesso mira oggi ad una revisione costituzionale che gli consentirebbe di ricandidarsi per la terza volta alle presidenziali del 2016. Se davvero fosse abolito il limite previsto dei due mandati, la Repubblica del Congo rischierebbe, secondo l’opposizione, di trasformarsi in un “impero”. Poco convincono le parole pronunciate dal Presidente durante le celebrazioni del 15 agosto in merito al “fruttuoso dialogo sociale” e alla “concertazione” che egli auspica di realizzare con le forze antagoniste e all’esistenza di una “pace civile” e una “stabilità politica” da tutelare.
Attualmente i partiti della maggioranza presidenziale sotto la tutela del PCT (Parti Congolais du Travail), guidato dallo stesso Sassou Nguesso, sono raggruppati all’interno di una piattaforma denominata Rassemblement de la Majorité Présidentielle (RMP). Il RMP raccoglie tra le proprie fila, oltre a corporazioni sindacali, socio-professionali e di funzionari, anche partiti di figli e nipoti dello stesso Sassou: Club 2002 PUR, di Wilfrid Nguesso, nipote del Presidente; MSD – Mouvement pour la solidarité et le développement – di Réné Serge Blanchard Oba, nipote di Sassou; PJR – Pole des jeunes républicains – di Denis Christel Sassou Nguesso, figlio del Presidente. Esso figura, dunque, essenzialmente come un forte sostegno al clan Sassou e al potere della famiglia. Inoltre, il PCT ha creato in seno all’embrionale società civile congolese una serie di associazioni che impediscono la fioritura di una vera ed autentica sfera pubblica libera da condizionamenti politici. Tali formazioni, eredi delle vecchie organizzazioni di massa degli anni del monopartitismo, sono, in effetti, denunciate dal rapporto CNADEC (Conseil National des Electeurs du Congo) del gennaio 2010 in quanto mere “appendici del potere”. Tuttavia, la mancanza di una chiara linea ideologica e lo scarso peso rivestito dai vari eletti e dalle personalità locali membri dell’attuale maggioranza parlamentare sembrano aver fossilizzato il governo in una delicata situazione di immobilismo politico, suscettibile di indebolirne la credibilità proprio alla vigilia delle elezioni del 2012.
L’Opposizione
Lo scenario politico antagonista è costellato da una molteplicità di formazioni che, senza una reale coerenza ideologica, tendono sovente a funzionare come strutture di gruppi di opportunisti alla ricerca del potere. Spesso prive di linee programmatiche chiaramente identificabili, le innumerevoli forze di opposizione sono, inoltre, fortemente marcate dall’origine etnica e tribale dei loro leader e rischiano, pertanto, di arroccarsi in un infruttuoso radicalismo, scarsamente rappresentativo delle istanze popolari e incapace di ispirare una strategia comune fondata su valori davvero condivisi. Non essendo inequivocabilmente definibile una netta spaccatura ideologica tra partiti di governo e di opposizione, infatti, i programmi elettorali appaiono più che altro delle semplici promesse rivolte ad una determinata base sociale e, di conseguenza, i voti sono generalmente espressi su basi sentimentaliste e tribali. La palese debolezza della società civile e politica, vincolo considerevole all’esercizio di una democrazia partecipativa, contribuisce così all’impressione che il Congo stia in realtà vivendo in un sistema monolitico che rende di fatto utopica l’affermazione del principio di alternanza ciclica. L’opposizione è, altresì, oggetto di violenza da parte di un potere autocratico e repressivo del dissenso: la libertà di riunione è fortemente limitata, l’accesso alle strutture di potere – politiche e massmediatiche – è estremamente ridotto e frequenti sono i casi di arresti e procedure giudiziarie ingiustificate ai danni di diversi esponenti dei più autorevoli partiti di minoranza, soprattutto dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009. Tale clima intimidatorio e tale sistema cristallizzato hanno generato una situazione di impasse, di diffusa frustrazione e di apatia e hanno ulteriormente alimentato quel generale disinteresse popolare verso la sfera pubblica che i recenti tassi di astensione (circa del 90%) chiaramente testimoniano.
Al momento le formazioni politiche di opposizione possono essere raggruppate in due macro-settori: moderato e radicale. L’opposizione moderata è principalmente incarnata dal RFD (Rassemblement des Forces Democratiques), guidato da Joseph Hondjuila Miokono, e dal PRL (Parti Républicain et Libéral) di Nicéphore Fylla de Saint-Eude. Dopo aver partecipato alla concertazione nazionale organizzata dal governo di Sassou Nguesso prima delle elezioni del 2009, oggi gli esponenti moderati condannano l’”atteggiamento di esclusione” del Presidente, a cui imputano altresì la progressiva distruzione del tessuto sociale ed industriale del paese, dove circa il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema. Le forze di opposizione radicale sono, invece, attualmente riunite all’interno del FPOC (Front des Partis de l’Opposition Congolaise), guidato da Clément Mierassa, presidente del PSDC (Parti Social-démocrate Congolais) ed ex ministro del Commercio (1991-1992) e dello Sviluppo Industriale (1992-1993). Strenuamente ancorato all’inno nazionale “Unità, Lavoro, Progresso”, il FPOC si batte per l’affermazione dei diritti sociali, della democrazia, dell’uguaglianza, per un reale cambiamento e per lo sviluppo del paese. Non tacendo le critiche alla “deriva autoritaria” del potere ed alla “disastrosa gestione” della questione sociale, il Fronte reclama una “riconciliazione nazionale sul modello di Mandela” e chiede l’apertura di un dialogo costruttivo tra governo ed opposizione al fine di generare un clima pacifico e condizioni propizie all’organizzazione consensuale e trasparente delle elezioni del 2012. I due partiti più degni di nota all’interno del FPOC sono l’ARD (Alliance pour la République et la Démocratie) il cui presidente, Mathias Dzon, fu ministro dell’Economia e delle Finanze dell’esecutivo Sassou tra il 1997 e il 2002, e l’UPADS (Union Panafricaine pour la Démocratie Sociale) dell’ex Presidente congolese Pascal Lissouba, in esilio in Francia dal 1997. Scisso in due grandi correnti, dopo oltre un decennio di divisioni interne e lotte fratricide, l’UPADS ha ritrovato, il 1 settembre scorso, la propria unità. L’impulso decisivo verso l’agognata riunificazione del partito è ascrivibile al deciso intervento dell’ex Première Dame Jocelyne Lissouba, le cui parole forti in favore dell’azione sociale e di una rinnovata fedeltà agli ideali di unità nazionale, pace, sviluppo e solidarietà fanno forse presagire che voglia essa stessa assumere un ruolo più attivo nell’agone politico. La riacquistata concordia dell’UPADS va a tutti gli effetti salutata come una svolta storica sia per l’opposizione, che finalmente può vantare una forza davvero in grado di configurarsi come valida alternativa allo status quo, sia per lo scenario politico interno nel suo complesso. L’UPADS sarà, infatti, da ora di nuovo rappresentativa di una parte considerevole dell’opinione pubblica e potrà fornire un contributo reale per il trionfo della democrazia. Essa potrà, insomma, affermarsi come nucleo propositivo ed alternativo di cui il potere dovrà necessariamente tenere conto, conferendo al sistema nazionale una coerenza prima assente e Una maggiore dinamicità del partito e un più ampio coinvolgimento della base sociale da realizzarsi sull’intero territorio nazionale forse riusciranno, in effetti, nell’intento di indurre la popolazione ad una maggiore mobilitazione per sbloccare l’immobilismo e il torpore politico in cui versa il paese. Tuttavia, l’opposizione radicale non gode del sostegno delle grandi nazioni europee, in particolar modo della Francia, rimasta colpevolmente sorda agli appelli provenienti dai diversi partiti del FPOC invocanti un’attività di pressione internazionale su Denis Sassou Nguesso a tutela dell’espletamento della democrazia interna. Parigi è, in effetti, accusata di atteggiarsi a “potenza neo-coloniale” interessata principalmente alle risorse petrolifere e minerarie di Brazzaville e di ostacolare la libera scelta popolare, poiché fornisce il proprio sostegno alle “marionette corrotte” che governano il paese.
La Contestata Legge Elettorale
Al fine di garantire trasparenza e regolarità alle prossime votazioni del 2012, l’opposizione richiede a gran voce la revisione della legge elettorale attualmente vigente (legge 5/2007, intervenuta a modifica e a completamento della l. 9/2001) poiché “fatta su misura per chi detiene già il potere”. La denuncia verte sui tre seguenti argomenti principali:
La composizione del corpo elettorale. L’art. 54 della legge 5/2007 prevede un’ “iniqua” ripartizione dei seggi e delle circoscrizioni, basata su considerazioni soggettive di mero vantaggio politico e non su un regolare censimento della popolazione. Effettuato unilateralmente dalle forze al governo, l’ultimo aggiornamento dei registri elettorali risale a qualche anno fa ed attribuisce il diritto di voto a 2.288.558 cittadini sui 3.695.572 abitanti totali, distribuiti secondo criteri lungi dall’essere definibili “scientifici”. Alcuni presunti feudi dell’opposizione, come la città di Nkayi, con una popolazione di oltre 60.000 individui, oppure ancora i distretti di Madingou e di Mouyondzi, con circa 50.000 abitanti, hanno, ad esempio, a disposizione solamente un seggio per ogni circoscrizione amministrativa. Dalle liste vengono, inoltre, esclusi molti sostenitori delle forze avversarie, mentre sono frequenti i casi di voto multiplo o di voto di persone decedute. Non è, dunque, azzardato sostenere che il governo abbia creato un sistema fraudolento volto a gonfiare opportunisticamente i registri per plasmare l’elettorato a proprio vantaggio e mantenersi al potere sine die.
La commissione elettorale. La commissione organizzativa per le consultazioni elettorali non è, ad oggi, indipendente. Il presidente e i membri sono, infatti, scelti e nominati dallo stesso Sassou Nguesso tra gli affiliati del PCT o del RMP: essa è di fatto formata esclusivamente dai sostenitori del governo, di cui manifesta pedissequamente le volontà. È ad essa che competono le valutazioni in merito all’ammissibilità delle candidature, le operazioni di scrutinio e la proclamazione dei risultati. Ben 4 dei 17 candidati alle elezioni presidenziali del 2009, tra cui anche Ange Edouard Poungui dell’UPADS, unico credibile antagonista allo strapotere di Sassou, furono esclusi dalla competizione su pretesto che essi non avessero fornito alla Commissione il proprio indirizzo di residenza (decisione confermata dalla Corte Costituzionale ex art 58 Cost.), mentre Denis Sassou Nguesso fu riconfermato Presidente con il 78,6% dei voti espressi da meno del 10% della popolazione.
La campagna elettorale. La comunicazione politica si basa sostanzialmente sulla propaganda di Sassou Nguesso, abile manipolatore dei media e dell’opinione pubblica. Se, infatti, Freedom House annovera la Repubblica del Congo tra gli Stati “not free”, il rapporto 2010 di Amnesty International denuncia i vincoli alla libertà di espressione, di informazione e di stampa e, ancora, l’analisi 2010 del CNADEC traccia un quadro da cui emerge la palese fragilità dell’intero sistema mediatico. I giornalisti sono di fatto, sia per la mancanza di un vero spirito corporativo, che per l’esiguità dei mezzi finanziari, alla mercé di tangenti e corruzione e, per non incorrere in sanzioni pecuniarie, sono sostanzialmente costretti a non porre domande che potrebbero “infastidire il governo”. Le trasmissioni radiofoniche e televisive riflettono, così, fedelmente la linea governativa, non sono previsti contraddittori né dossier elettorali, mentre l’opposizione deve faticosamente conquistarsi dello spazio sui pochi media privati ancora esistenti oppure affidarsi a dei casting. Pare inoltre che Denis Sassou Nguesso si serva anche del denaro pubblico per fini elettorali e propagandistici.
Conclusioni
La ritrovata unità dell’UPADS potrebbe, da qui al 2012, contribuire alla nascita di un autentico bipolarismo interno e dare, conseguentemente, nuova credibilità allo scenario politico congolese. Tuttavia, l’intransigenza del governo nel rifiutare una seria revisione delle legge elettorale e il disincanto popolare nei confronti di un reale cambiamento degli equilibri di potere lasciano presentire che i tassi di astensione saranno nuovamente molto elevati. Rebus sic stantibus, dunque, il prossimo appuntamento elettorale non farà probabilmente altro che confermare l’attuale assetto parlamentare, enfatizzando le problematicità intrinseche ad un sistema solo formalmente democratico. È, comunque, plausibile che alcuni membri dell’opposizione “graditi” a Sassou Nguesso potranno conquistare dei seggi alla Camera bassa: questo consentirebbe, infatti, all’élite governativa di suscitare un’impressione di legalità interna agli occhi del mondo, delegittimando così ulteriormente il criticismo delle forze antagoniste, e di tutelare l’immagine internazionale di un Presidente che si proclama amato dal proprio popolo.
* Valentina Francescon è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)
[1] Rapporto del settimanale francese Le Canard enchainé del 2008, intitolato “Acquisti importanti di armi di guerra da parte di Sassou Nguesso”.